di Ilaria Carloni

Paolo Sorrentino è il quarto regista italiano degli ultimi trent’anni a tenere tra le mani la statuetta d’oro degli Oscar. Nato a Napoli il 31 maggio 1970, col bilancio dei 50 anni, ha tradotto per il cinema, con il film “La mano di Dio”, la sua biografia, segnata da un doloroso evento familiare che ha cambiato il corso della sua vita. Dopo molta gavetta sui set del cinema e della televisione, nel 2001 dirige il suo primo lungometraggio, “L’uomo in più”: oltre al felice sodalizio con Toni Servillo, con il quale ha stretto un’amicizia fraterna, il film gli è valso numerosi riconoscimenti e premi, tra cu il Nastro d’Argento, il Ciak d’oro e tre candidature ai David di Donatello. Un periodo positivo per la sua carriera, ma anche per la vita privata, segnata dall’incontro con la giornalista Daniela D’Antonio, con la quale ha due figli, Anna e Carlo. Da allora il successo è stato inarrestabile come testimoniato dai suoi film: “Le conseguenze dell’amore”, “L’amico di famiglia”, “Il Divo”, il biopic su Giulio Andreotti, con cui vince il Premio della giuria al Festival di Cannes, “This Must Be The Place”, interpretato da Sean Penn, vincitore di 5 David di Donatello e 3 Nastri d’Argento. Il successo diventa internazionale nel 2013 con il capolavoro “La Grande Bellezza”, che gli è valso l’Oscar come miglior film straniero e numerosi altri riconoscimenti in Italia e in Europa. Pubblico e critica hanno apprezzato anche gli altri suoi lavori, “Youth” e “Loro”, e la serie tv “The Young Pope” e “The New Pope”, interpretate da Jude law, Diane Keaton, John Malkovich, Silvio Orlando. Ed è dopo tutta questa strada costellata di successi, che ha la maturità giusta per il suo ultimo film, “È stata la mano di Dio” che è tra i cinque candidati come Miglior Film agli European Film Awards, i cosiddetti Oscar europei, riconoscimenti assegnati ogni anno dell’Accademia europea del cinema per celebrare l’eccellenza della produzione cinematografica del continente. Oltre alla nomination come Miglior film, “È stata la mano di Dio” ha ricevuto anche le candidature per la Migliore sceneggiatura e la Migliore regia. Il film, inoltre, è anche il titolo che l’Italia ha proposto all’Accademy per la corsa all’Oscar. Presentato in concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ha vinto il Leone d’argento Gran Premio della Giuria.

“La mano di Dio”. Come è stato ridisegnare la sua vita in un film?

Quando ho compiuto 50 anni ho pensato che fosse giunto il momento per sistemare alcune questioni personali che avevo lasciato in sospeso, mi sentivo pronto a farlo. Avevo messo le mie pene in un angolo, ho pensato fosse utile trasferirle sullo schermo per provare ad alleviarle.

Da dove nasce il titolo “La mano di Dio”?

È la frase che pronunciò Maradona per giustificare il suo gol di mano contro l’Inghilterra. L’ho presa in prestito perché se sono vivo è merito suo, e della passione che nutro per lui.

Lei crede in Dio?

A modo mio sì. Ma non basterebbe tutta l’intervista per risponderle.

Ha dovuto mettere in campo le sue emozioni, negative e positive, rivivendole. È stata dura o è stato terapeutico?

Entrambe le cose. Per fortuna sul set si è continuamente distratti da necessità e piccoli imprevisti che ti allontanano dai pensieri. Ci sono stati momenti di grande emozione che ho superato grazie alla mia meravigliosa troupe che mi è stata accanto in modo discreto e affettuoso. Se è stato terapeutico non lo so ancora, vedremo. Sicuro a furia di parlare dei miei dolori comincio ad annoiarmi di me stesso e forse questo sarà terapeutico (ride ndr).

Fare il regista significa un po’ controllare e ridisegnare le vite altrui. È riuscito nel controllare la sua?

Ci provo, ma non è che controllare la mia vita sia tra le priorità. Cerco il benessere questo sì, ma non il controllo.

Quale è stato lo spunto dato agli attori nel film?

Di solito scelgo attori che oltre a essere ovviamente bravi siano anche molto intelligenti e che capiscano subito cosa ho in mente. Inoltre cerco di scrivere sceneggiature molto precise nella descrizione dei personaggi e questo aiuta…

La sinergia con Toni Servillo, una sorta di fratello maggiore. Una parola per descrivere il vostro rapporto.

Toni come dice lei è una sorta di fratello maggiore. In comune abbiamo un discreto coraggio nelle scelte, l’essere grandi lavoratori e soprattutto una passione per l’ironia.

Quale caratteristica principale le ha fatto scegliere l’attore che ha interpretato lei da ragazzo?

È bravo, il più bravo tra i tanti ragazzi che ho provinato e ovviamente questo è stato il motivo principale, e poi esprime timidezza e senso di inadeguatezza come me alla sua età.

È un film diverso dagli altri, essenziale e senza orpelli per lasciare spazio alle emozioni. Come è riuscito a non scadere nella retorica?

La retorica era la trappola principale e sin dal primo giorno mi sono imposto di non caderci. Spero di esserci riuscito.

Quando ha deciso che doveva fare cinema? Da dove nasce questa passione?

Il film spiega meglio di qualsiasi mia risposta il perché e il quando.

Paolo Sorrentino in famiglia e sul set.

Amo più stare in famiglia che sul set. Tendenzialmente sono di buonumore e molto casalingo.

La malinconia e l’ironia. Cosa sono per lei?

Sentimenti fondamentali, non riesco a immaginare la vita senza.

La noia che tutti fuggono e che i bambini oggi non conoscono più: quanto invece conta per tirar fuori i propri desideri?

Moltissimo, per me è stato così e non ho mai cercato di riempire a tutti i costi le giornate dei mie figli perché credo che la noia sia un esercizio fondamentale.

Lei come alimenta lo spirito?

Più che altro alimento il corpo (ride ndr).

Il primo ricordo che ha dell’infanzia.

Io a piazza San Marco a Venezia con i piccioni.

Il legame con i suoi fratelli.

Siamo molto legati, a modo nostro, non abbiamo bisogno di sentirci tutti i giorni ma sono molto unito ai miei fratelli.

La forte figura di sua moglie. È vero che accanto a un grande uomo c’è sempre una grande donna?

Lei risponderebbe dicendo che dietro una grande donna c’è una grande colf…

Che tipo di padre è Paolo Sorrentino? Ritrova delle analogie con suo padre Sasà?

Siamo padri di epoche diverse. Io faccio dei mio meglio, cerco di essere molto affettuoso e giocoso, ecco mi piace giocare.

Il legame con Napoli, la sua città.

Profondo. Non sarei quello che sono se non fossi napoletano.

Coma ha vissuto i suoi anni ’70?

Sono nato nel 1970, li ho vissuti come un bambino felice.

Un bilancio dei suoi 50 anni. Tempo fa si definiva un dilettante. Oggi come si sente dopo tanti premi e nomination?

Un dilettante che ha ricevuto tanti premi e nomination.

n° 81 dicembre 2021