di Ilaria Carloni
Fabio Cannavaro è tornato finalmente a Napoli. L’ex difensore azzurro e campione del mondo con la nazionale italiana nel 2006 è tornato a vivere in città da quasi un anno, dopo l’addio annunciato al Guangzhou FC, dove ha allenato per cinque anni tra la prima esperienza del 2014/15 e le ultime quattro stagioni.
Fabio Cannavaro è senza ombra di dubbio il miglior difensore della storia del calcio. Grande protagonista della vittoria della Nazionale Italiana ai Mondiali 2006, ha dedicato tutta la sua vita al calcio. Indelebile nella storia l’immagine di lui che solleva il Pallone d’oro.
Indubbiamente sono infiniti i successi di Fabio Cannavaro in ambito calcistico, anche se i più importanti restano quelli della vita privata. E’ legato alla moglie Daniela Arenoso dal 1996: un amore adolescenziale che ha portato alla nascita di tre splendidi figli, Martina, Andrea e Christian.
“L’obiettivo nella vita è vincere”, questo il suo motto, perché un trofeo fa sempre la differenza.
Sei tornato a Napoli prima dello scadere del contratto in Cina. Lo hai fatto per la famiglia?
Sono tornato ad agosto dopo due anni di pandemia: il primo anno sono rientrato a casa dopo 11 mesi, poi sono tornato in Cina facendo quarantene e subendo restrizioni assurde. La seconda volta non ho visto la mia famiglia per altri 8 mesi, così quando sono rientrato in Italia, ho iniziato a parlare con il club per restare a casa e non tornare più. Il club mi ha compreso e con il senno del poi è stata una scelta giusta data la situazione che c’è ancora in Cina.
Che esperienza è stata per te, professionalmente e personalmente?
Dal punto di vista personale, è stata una esperienza di vita pazzesca perché è un paese molto avanti, le città sono sicurissime, non gira denaro in contanti, ma si paga tutto attraverso una semplice app. Per quanto riguarda l’aspetto lavorativo, è stata l’esperienza che mi è servita di più. Ho portato una squadra di serie B in Champions. Poi ho preso una delle squadre asiatiche più importanti ed abbiamo iniziato un percorso di ringiovanimento della squadra, dove l’obiettivo del “grande capo” era portare quanti più giocatori possibili in Nazionale. Io allo stesso tempo ho cercato di fare squadra per vincere: il primo anno ci siamo andati vicini arrivando secondi, il secondo anno abbiamo vinto e il terzo anno abbiamo perso con la formula assurda dei playoff in cui abbiamo perso una finale, il quarto anno eravamo pronti a vincere, ma io sono andato via. L’obiettivo comunque è stato raggiunto perché abbiamo portato dieci di quei giovani in Nazionale, e allo stesso tempo abbiamo sempre lottato per vincere.
L’insegnamento che ti ha lasciato.
Mi è servita questa esperienza per mettere in ordine tutto quello che avevo in mente da giocatore. Stare sul campo serve moltissimo e fa la differenza.
Ti senti pronto ad allenare?
Sono sette anni che alleno e mi sento pronto, mi ha fatto piacere avere molte proposte di club importanti, di nazionali, ecc., ma per ora il mio intento è riposarmi e continuare a studiare. Ora ci sono varie prospettive anche con l’estero, intendo Spagna, Francia, Inghilterra. Vediamo come andrà.
Come vedi questa squadra del Napoli?
C’è tanta amarezza in città perché si pensava fosse l’anno buono data l’assenza della Juve e si pensa di aver perso una occasione, ma se si guarda alla stagione del Napoli, raggiungere la Champions è stato un traguardo importante, perché la squadra ha avuto tanti infortuni ed emergenze. Rispetto a tutti i problemi che ci sono stati, ha fatto il massimo.
Che ne pensi del lavoro del mister?
Stare dal di fuori è molto più semplice e non posso giudicare. Sicuramente il Napoli ha un buon allenatore, Spalletti, che conosco, e che ha gestito molto bene la squadra nonostante le difficoltà.
E del lavoro di Rino Gattuso al Napoli che giudizio hai?
Rino è cresciuto molto per quanto riguarda l’aspetto tecnico perché ha avuto la fortuna di stare in campo. Ha gestito bene il Napoli, era una squadra che sapeva cosa fare nel possesso palla e quando non aveva il possesso palla. Era una squadra ben organizzata, è solo mancato un pizzico di convinzione in più, all’ultima partita in casa, l’anno scorso, in cui si doveva vincere. Invece, purtroppo, è stata pareggiata e non si è andati in Champions.
Sistema di gioco preferito, che hai usato in Cina?
Il mio sistema di gioco preferito è il 4-3-3, che ho usato in Cina grazie al fatto che avevo un centrocampista come Paulinho che era bravissimo negli inserimenti e che permetteva di organizzare la fase offensiva in un certo modo. Non gli volevo dare compiti difensivi, lo lasciavo molto libero. Comunque un allenatore bravo non è quello che impone le sue idee, ma quello che capisce di cosa ha bisogno la sua squadra e le cuce un vestito su misura.
Quanto conta il budget?
Le migliori società che arrivano in finale di Champions, Coppa, e soprattutto Champions League, hanno bisogno di budget. E’ vero che è importante la costruzione di una squadra, ma se hai Ronaldo o Messi, ti agevola un po’ tutto.
L’importante è giocare o vincere? Quanto conta portare a casa un trofeo?
Portare a casa un trofeo è fondamentale, io sento molti giovani dire “l’importante è divertirsi durante l’allenamento”, ma io mi diverto solo quando vinco. Per me l’obiettivo è vincere partite e portare trofei a casa. Vincere e cercare di proporre un calcio moderno, che piaccia alla gente che viene allo stadio. Noi lavoriamo per il risultato e per piacere ai tifosi.
La tua più grande vittoria resta però la famiglia. Quanto merito va attribuito a tua moglie Daniela?
Daniela è il perno della mia famiglia, è una donna molto forte a cui riconosco l’enorme merito di avermi sempre seguito ovunque, di aver tenuto sempre unita la famiglia, e di aver dato una buona educazione ai figli. Si sa, l’educazione la dà soprattutto la mamma e lei ha cresciuto i nostri tre figli in modo impeccabile. Ha affrontato traslochi, nuove abitudini, culture diverse. C’erano posti dove le piaceva stare, ma altri meno, eppure mi ha sempre seguito senza farmelo mai pesare.
E tu, che tipo di padre sei?
Sono un padre molto esigente, li lascio liberi di fare le loro scelte e di seguire le loro passioni, ma loro sanno che non possono sbagliare. Hanno una doppia responsabilità per il cognome ingombrante, ma per fortuna non mi hanno mai dato problemi. Non è stato facile fargli capire che ciò che hanno non è la normalità, e trasmettergli il valore del danaro essendo loro cresciuti in un ambiente dorato. Per me è stato diverso perché ho iniziato da zero, quindi il denaro me lo sono guadagnato e so cosa significa.
Qual è il valore più importante che ti hanno trasmesso i tuoi genitori?
Il valore più importante che ho avuto dai miei genitori, è sicuramente l’educazione, dentro e fuori dal campo. Molti giocatori pensano non sia importante ed invece è fondamentale. L’aspetto educativo è quello che fa la differenza in una persona, ed è l’eredità più importante che mi abbiano lasciato i miei genitori.
n° 84 maggio 2022