di Ilaria Carloni
Se dovessi scommettere su un attore del momento, quello sarebbe certamente Giacomo Giorgio, protagonista della serie di successo “Mare Fuori”, di “Sopravvissuti”, “Diabolik” per il cinema, “Io sono Leggenda”, e “Sangue sull’altare” di cui inizierà a breve le riprese. Un attore che in tre anni, è stato in grado di trasformarsi in personaggi diversissimi tra loro, di crescere, di invecchiare e poi di ringiovanire ancora, di cambiare accenti e generi. Ed ogni volta che lo fa, si immerge anima e corpo in quel personaggio, che lo “sostituisce”, si impossessa di lui, fino a fargli perdere la sua vera identità, di cui poi fatica a riappropriarsi. L’ascesa rapidissima di Giacomo è stata sorprendente, così come il suo esordio, certamente non comune, avendo ottenuto una parte nel film americano “Happy Prince” al fianco di Rupert Everett e Colin Firth. Ma la vera occasione è stata quella in “Mare Fuori” di Carmine Elia, in cui ha vestito i panni di Ciro, ragazzo della malavita, molto lontano dalla sua estrazione borghese napoletana. Giacomo è di una buona famiglia di Napoli, di Via Manzoni, e deve tutta la sua “formazione” umana agli adorati nonni, Merina e Carlo, che lo hanno seguito, cresciuto, spronato e aiutato, fino alla loro morte, avvenuta di recente. Non prima di vederlo, però, nella serie di “Mare fuori”.
Un esordio, il tuo, non proprio comune, in un filmone americano “Happy prince” accanto al tuo attore preferito, Colin Firth. Che ricordo hai?
E’ stato uno shock! Colin Firth è sempre stato il mio attore americano preferito. Me lo son trovato davanti, una mattina all’alba, in Germania, nella sala del costumista, e mi sono presentato con la mano tremante.
Dopo questo esordio surreale, la vera occasione con “Mare Fuori”. Ce ne parli?
“Mare fuori” è stata un’esperienza magica, un sogno che si realizzava, perché da quando ero piccolo desideravo interpretare personaggi cattivi essendo cresciuto nel mito di “Scarface” e “Gangs of New York”. Ma immaginavo di poterlo fare a trent’anni ed invece ho avuto questa botta di fortuna di poter interpretare un cattivo della mia età. Per entrare nel ruolo ho studiato molto, ho passeggiato tra le strade di Forcella, di Secondigliano, ho osservato. Io ho studiato il metodo Stanislavskij e non so attuare un metodo diverso. Così sono entrato nel carcere di Nisida, ho osservato i ragazzi: come dormono, cosa mangiano e di certo ho notato che non vivono nel comfort. Mi sembrava interessante, quindi, entrare nell’ottica di uno che dorme male, così ho dormito per tre mesi su un divano per provare il disagio che provano loro. Già dopo poche notti insonni e scomode, ho iniziato ad essere irritabile, nervoso, a rispondere male a mia madre, ad avere le borse sotto agli occhi. Mi ha aiutato anche perdere peso, perché in carcere non mangi bene e non mangi volentieri. Poi ho guardato tanti film per prendere ispirazione, per “rubare”. Lo faccio per ogni personaggio. Su Ciro avevo visto molte volte l’interpretazione del macellaio di Daniel Dey-Lewis in “Gangs of New York”, che è il più cattivo in assoluto.
Come è stato il rapporto tra gli attori, tanti giovani messi insieme?
Sul set ci ha aiutato una sinergia magica grazie al regista Carmine Elia. Noi ragazzi vivevamo insieme in modo familiare. Il regista ci ha subito chiarito che la nostra “operazione” dovesse essere lontana da “Gomorra”. L’obiettivo era raccontare che quello che fanno gli adulti ricade sui ragazzi, il vuoto che lo Stato lascia in queste persone, vuoto che viene colmato dalla malavita.
Che rapporto hai con Carmine Elia il regista?
Per spiegarti chi è ti dico la prima frase che mi disse per spiegarmi Ciro: “Il tuo personaggio è la “Guerra di Piero” di De Andrè. Mi sentii disorientato, ma era un seme lasciato dentro di me. Quando poi ho girato la scena in cui ho ammazzato il mio migliore amico, ho capito cosa intendesse. Lui è un genio.
Com’è stato passare da Ciro a Lorenzo di “Sopravvissuti”?
Passare a Sopravvissuti è stata una tragedia! Ho finito “Mare Fuori” e mi son trovato a dover fare un personaggio di dieci anni più grande di me. Per fortuna c’è stata la pausa del lockdown, quindi ho avuto cinque mesi per lavorare sul personaggio. La prima cosa che ho fatto è stato ricercare un’estetica coerente con l’età, quindi ho mangiato, mi sono allenato, mi sono fatto crescere barba e capelli. E’ stato un lavoro tutto di immaginazione, mi sono soffermato soprattutto sulla pesantezza di un uomo sofferto, vissuto, ma non comune, come Lorenzo. Ho affrontato il suo senso di responsabilità e di rivalsa verso la vita. La tempesta è reale ma anche metaforica perché corrisponde a una tempesta interiore, di chi vuole dimostrare al mondo ed al fratello che lui è tornato cambiato e più responsabile. E’ stato un lavoro terapeutico perché mi ha messo al cospetto di tante domande che non possono avere una risposta se non si vivono determinate situazioni.
E poi è arrivato Diabolik…
Quella è stata un’esperienza diversa dalle altre, in cui mi era concesso di “recitare” trattandosi di un fumetto e di un personaggio più over acting.
Dopo tanta compenetrazione, come fai ad uscire da un personaggio?
Per evitare di diventare pazzo cerco sempre di liberarmene subito, di non pensarci, di cambiare look, ma sicuramente quando ho finito “Sopravvissuti”, mi è rimasta addosso una maturità ed una pesantezza che prima non avevo. Me ne sono liberato solo ora perché sto interpretando un ragazzino di 18 anni, Nicola, in “Io sono leggenda”. Ho dovuto fare in tre mesi un lavoro di grande preparazione fisica, con dieta ferrea, allenamenti, taglio di capelli e non è stato facile perché avevo addosso l’imponenza fisica di Lorenzo. Nicola è il ragazzo della porta accanto, bello e simpatico, uno che mostra sicurezza, ma che in realtà è un fragile. Non avevo mai fatto un personaggio con sfumature di commedia in cui emerge la mia simpatia. Mi sono ispirato ai ruoli di Mastroianni, che era bello ma mai scostante. Stavolta con accento romano…
Ciro napoletano, Lorenzo milanese e ora Nicola romano. Hai toccato le città che hanno segnato la tua vita. Qual è la tua città del cuore?
Nel cuore ho Napoli, anche se sono cresciuto a Milano dove mi sono trasferito a nove anni ed ho lì tutti i ricordi della adolescenza. Vivo a Roma e ne sono innamorato. Però il mio cuore è a Napoli.
Come riesci a conciliare tutto questo con una vita reale?
Fare questo lavoro è quello che io desidero, ma il prezzo da pagare è molto alto. Negli ultimi tre anni ho vissuto in una bolla temporale che mi ha fatto perdere la quotidianità e la normalità: mia madre che invecchia, un risultato bello lavorativo di mia sorella, i compleanni, le feste in famiglia, i funerali delle persone care…. Ho perso molte di queste cose.
Hai perso anche i nonni di recente. Hai avuto modo di elaborare il lutto?
Ho perso durante le riprese di “Sopravvissuti” entrambi i miei nonni. I miei lutti sono sotto i personaggi che ho interpretato, non si vedono ma sono li sotto.
Cosa hanno rappresentato per te?
Sono state le persone che auguro a chiunque di avere. Mi hanno cresciuto nel vero senso della parola, mi hanno insegnato la vita. Senza nulla togliere ai miei genitori, che nonostante la separazione mi hanno sempre fatto sentire amato, nonna Merina e nonno Carlo sono quelli che mi hanno permesso di fare ciò che ora faccio. Mio nonno faceva il bancario ma era un artista. Suonava tutti gli strumenti, pianoforte, chitarra, mandolino, violino, poi dipingeva quadri bellissimi, ascoltava musica lirica, classica ed è stato lui a portarmi sin da bambino verso questa sensibilità. Lui mi ha insegnato anche la manualità. Insieme costruivamo oggetti in legno, castelli di carta. Era di una dolcezza e di una pacatezza unici. Nonna invece aveva una forza incredibile, portava le redini della famiglia e faceva miracoli. Mandava avanti sei persone con una pensione minima di 499 euro. E’ stata una donna fortissima. Quando attraverso un momento negativo, penso sempre a lei e a come avrebbe reagito. Poi era una donna coltissima, che mi ha insegnato a parlare bene in italiano e a leggere libri.
Un ricordo che hai di lei?
“Volli, sempre volli, fortissimamente volli” di Vittorio Alfieri era il suo motto e me lo chiese come promessa. Lei è stata la prima a credere in me e nel fatto che volessi fare l’attore e me lo ha permesso col suo sostegno. I primi anni ero a Roma e lei si toglieva da quei 499, 100 euro per darli a me. Era convinta che avrei vinto un David e semmai succederà, lo dedicherò a lei. Se ne è andata che c’era in onda “Mare fuori”. Aveva già iniziato a stare male, ma è morta la mattina dopo l’ultima puntata. Se l’è vista tutta!
Chi è Giacomo Giorgio dismessi i panni dell’attore?
Torno a casa e non so bene quale sia la mia vita reale. Come se fosse in pausa. Mi accorgo che è passato del tempo, ma non me ne sono accorto. Ho girato “Sopravvissuti” in otto mesi e ne ho percepito uno. Lo scorrere del tempo lo vedo solo nelle cose e nelle persone: un viso che invecchia, un mobile ingiallito. Talvolta mi capita anche nel quotidiano di perdere questa aderenza temporale. L’altro giorno ho girato una scena drammatica in un ospedale, in cui sono entrato alle 8 del mattino. Negli spazi interni la luce del direttore della fotografia inganna perché crea un ambiente diurno tutto il tempo, ma quando sono uscito dall’ospedale era notte. Per me era passata un’ora ed invece era passata l’intera giornata.
Progetti imminenti?
Tornerò nella serie “Mare Fuori”. Non posso dire come ma ci sarò, e poi ho iniziato le riprese di “Sangue sull’altare” per Raiuno. E’ la storia di Elisa Claps ed interpreto il fratello di Elisa, Luciano Claps. Sono molto contento perché è una responsabilità diversa, metto in scena qualcosa di vero e non c’è nulla da immaginare. E’ realtà, è cronaca.
Se potessi chiedere ancora qualcosa ?
Avendo perso in questi tre anni molte cose della vita privata e familiare, spero di trovare una quadra per non perderne altre. Dal punto di vista professionale, spero di poter fare sempre di più, trovando ruoli e spazi che mi consentano di comunicare un messaggio. Magari anche facendo un film mio come regia, scrittura, ed interpretazione. Indirizzare la mia carriera in questa scia, è un sogno ancora più elevato di quello che sto vivendo.
n° 88 gennaio 2023