di Fabrizio Carloni
Da un po’ di tempo l’opinione pubblica è coinvolta nelle dissertazioni sulla famiglia convenzionale. La cosa, diventata quasi opprimente, vorrebbe sradicare dal senso comune la percezione biblica – e più articolata darwiniana – che pretende che, senza retorica, il sodalizio di cui parliamo sia composto nella sua formazione basica in natura da un papà, da un figlio e da una mamma. I detrattori di questa opzione, che a chi ragiona appare essere l’unica possibile, vorrebbero che la schiatta fosse un qualsiasi aggregato umano retto e basato sull’amore; ne deriva la conclusione che le relazioni tra un uomo ed un cane; tra due elementi dello stesso sesso, il legame con un mulo od un cavallo o quello del sacerdote con l’improbabile ormai perpetua siano riconducibili tutti ad una “famiglia”.
Per intercettare il ragionamento e ricondurlo nell’ambito dell’ovvietà, è ormai diventato inutile sostenere che tranne nel caso limite del sacerdote e della perpetua, in tutte le altri ipotesi è impossibile rispondere all’imperiosa necessità di assicurare la discendenza; a meno che non si voglia assicurare con il ricorso ad artifici come l’affitto da terzi bisognosi dell’utero o al procurarsi il gamete indispensabile da una banca refrigerata. Per quanto mi riguarda, ho trascorso la mia vita ormai piuttosto lunga e variegata in una famiglia diciamo ordinaria, composta dalle nonne, dai genitori, dai fratelli e da tutte le categorie di parenti collaterali, ascendenti e discendenti.
Tra l’altro, e questo rappresenta alla luce dei tempi un caso di fossile sociale, nel sodalizio affettivo che mi ha cullato per molti decenni, il modello della “famiglia patriarcale” oggi allo studio degli scienziati e dei commentatori più accreditati, a me non è sembrato nulla di spaventoso come lo si vorrebbe rappresentare: la mia nonna materna, sposata con un uomo di famiglia nobile contadina di Carpineto Romano, quando la sua piccola banca che aveva per oggetto sociale la gestione delle rimesse degli immigrati negli Stati Uniti andò in decozione per la crisi mondiale del 1929 insieme al pastificio della casata, si rimboccò le maniche e mise a frutto per insegnare la laurea in Belle Lettere che aveva conseguito nel 1922 a Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Sempre mia nonna Olga quando il marito lasciò la vita nel bombardamento americano di San Lorenzo, nel luglio 1943, con l’aiuto dei figli adolescenti Peppino e Tullia, prese in pugno una situazione molto difficile per la continuità della famiglia; idem successe per la compagine della mia nonna paterna il cui marito, mio nonno Maceo, fu assassinato durante la guerra civile 1943 – 1945: di quelle situazioni ho una chiara memoria, condivisa con i miei cinque fratelli di personaggi femminili autonomi, rispettati da tutti e carismatici.
È, eppur vero, che in contesti arretrati come soprattutto il nostro Meridione la vita per le donne sia stata disgraziata per una concezione della gerarchia tra i sessi profondamente iniqua e sbagliata. Giovanni Pascoli riferisce in maniera desolata nelle sue lettere alle sorelle della realtà di Matera con i suoi Sassi, nella seconda metà dell’Ottocento quando lui fu comandato per insegnare nella città lucana. Ma come confondere l’inciviltà dei molti satrapi che, prede del proprio sentire da gorilla o dei fumi dell’alcol trattano una donna come uno straccio, con una generalizzazione che oggi viene imposta e che pretende nuovi esempi? Ed a questo proposito vengono a galla due comportamenti convergenti che mettono in vista le responsabilità delle donne e della Giustizia. Come è possibile che in tanti casi di vessazione ed addirittura di femminicidio, la donna, dotata di una sensibilità e di un’intelligenza che geneticamente mancano al marito, accetti connubi con maschi che assomigliano ad un primate? Come è possibile che lo Stato non sappia opporsi alle conseguenze di queste scelte piegando le gambe all’arrogante pseudo onnipotente che impone i suoi limiti di “belua” alla donna convivente?
Riassumendo, è in atto una politica generalizzata che ha portato alla disgregazione della famiglia anche per un’insufficienza di leggi che tutelino la donna madre e lavoratrice. Così come trova grande seguito sociale tra il silenzio sostanziale della Chiesa, un modello di famiglia che ha come organi motori filosofie che vorrebbero che il leone non corteggiasse la leonessa e che la giraffa non concepisse con un maschio il proprio piccino.
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