di Fabrizio Carloni

Gli avvenimenti di Milano nella notte di Capodanno il cui apice è stato la probabile applicazione della Taharrush gamea (molestia sessuale collettiva) hanno portato all’ordine del giorno, con i contestuali attacchi  ai civili europei, la cultura islamica nella sua relazione con il mondo occidentale. Su questo argomento, per quanto  si siano affannati intellettuali di spessore, sembra sfuggito l’aspetto che appare più importante e che attiene alla radice profonda della filosofia delle due principali religioni monoteiste. Parlo della individuazione dei soggetti interessati e della natura dei peccati: nell’affrontare la questione sembra si sia sempre accantonato l’approfondimento sul ruolo delle donne che sono nell’Islam ridotte a soggetti sociali sottomessi e sussidiari e del trattamento da riservare a comportamenti e situazioni che caratterizzano la vita della comunità. In parola povere, se è vero che il Vecchio Testamento ed il Corano, che trae dal nostro Libro originario vasti ed importanti passaggi, prevedono pene severissime corporali e spirituali per alcune tipologie di deroghe, è pur verificabile che con la venuta di Cristo e con la proclamazione del suo messaggio modernissimo il Cristianesimo ed elettivamente il Cattolicesimo hanno stabilito che la Pietas e la concezione basilare del nostro credo presumano che nella gerarchia dei comportamenti illeciti ci sia una diversità sostanziale di trattamento. Per chi volesse approfondire, sulla questione femminile nel Dār al-Islām molto interessanti sono i lavori dell’antropologo algerino Malek Chebel (La Cultura dell’harem erotismo e sessualità nel Maghreb, Leonardo Editore, Milano, 1989) e di ErdmuteHeller ed Hassouna Mosbahi orientalisti (Dietro il Velo Amore e sessualità nella cultura araba, Editori Laterza, Roma – Bari, 1996). Tornando alla questione del Taharrush gamea consumata in piazza Duomo a Milano, spacciata da molti conformisti come un comportamento generalizzato scevro di ogni appartenenza alla cultura islamica, devo dire come questa tipologia di atteggiamento sia storicamente legato alla religione di Maometto. In occasione della preparazione del mio libro sull’utilizzo delle truppe coloniali francesi in Italia da parte Alleata nel periodo 1943 – 1944 ( Il Corpo di Spedizione francese in Italia 1943 – 1944, Ugo Mursia Editore, Milano, 2006), intervistando molte protagoniste di quegli avvenimenti trovai molti esempi di Taharrush gamea in cui i goumier (irregolari marocchini) in particolare ma anche gli algerini, tunisini e senegalesi dipendenti dal generale francese Alphonse Pierre Juin, circondavano, isolandole, le donne italiane in cammino con i loro cari in direzioni lontane dal fronte,  per poi violentarle selvaggiamente (cfr, di Moravia e De Sica il romanzo ed il film “La Ciociara”). Di quelle ricerche che mi hanno lasciato profondi turbamenti, particolarmente significativa per capire quanto grande sia stata l’umiliazione alle donne europee riservata dagli immigrati o cittadini maghrebini di seconda generazione a Milano, è l’intervista rilasciatami da Antonia, nata nel 1928 e raccolta a Pico nella Bassa Ciociaria nel 2004. Ne riporto uno stralcio: «Sono di famiglia contadina, Nel maggio del 1944 ero sfollata a […], Ci eravamo rifugiati li con la famiglia composta da papà, mamma, nonna paterna e fratello. […]. I tedeschi durante l’occupazione si comportarono molto bene; erano giovani e corretti […]. I primi marocchini che vidi mi sembravano indiani. Dopo sette od otto giorni che era passato il fronte nonostante ci avessero avvisate che i marocchini violentavano le donne, con leggerezza perché ero piccola ed ingenua e pensavo non mi potessero fare niente me ne andai con Vincenza, una mia amica, in un rifugio che era stato scavato per difenderci dalle bombe senza usare cautele. Si presentarono quattro uomini di cui uno sicuramente nero ed uno bianco francese e mi violentarono davanti ai miei genitori, ai parenti ed agli amici di famiglia; nessuno mi difese perché erano minacciati con i fucili. Passata le guerra andai dal dottore che mi disse che non ero stata infettata contrariamente a Vincenza. Durante la violenza carnale mi difesi disperatamente e mi fecero nera di botte. […] Gli uomini del paese, dopo, erano diffidenti e le donne marocchinate venivano indicate all’indice. Mio marito però mi ha sposata e nonostante sapesse tutto non mi ha rinfacciato nulla; era un uomo molto evoluto. […] Sognavo di andare all’altare vergine con il vestito bianco. I miei parenti quando mi sposai mi costrinsero a metterlo anche se io non volevo.» Nell’Italia centrale e meridionale le donne italiane che furono violentate dalle truppe senegalesi e maghrebine cui dettero una buona mano elementi bianchi francesi ed europei della Legione Straniera, furono più di 50.000; cui vanno aggiunti uomini e bambini che tacquero per pudore. Tutto questo fu dovuto ad una filosofia di vita che conduce all’Islam che definisce spesso le donne come delle Qahba, termine che non traduco per rispetto di chi legge.

By Published On: Maggio 13, 2025

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