Nella più seguita serie dell’anno interpreta un comandante di polizia penitenziaria, Massimo Esposito, burbero ma buono, riferimento paterno e guida dei giovani detenuti. Stiamo parlando della serie “Mare fuori”, giunta alla sesta stagione e diventata un fenomeno sia per gli ascolti, sia per l’hype che si è sviluppato attorno al cast, anche per merito della sigla, divenuta una colonna sonora del quotidiano di molti. Napoletano come i suoi ragazzi dell’IPM, cresciuto a Secondigliano, Carmine Recano ha una lunga gavetta alle spalle, concretizzatasi negli ultimi anni un un boom di successo e popolarità, meritati e sudati, e soprattutto condivisi, con amore e devozione da sua moglie, Donatella Tipaldi con cui ha due meravigliosi bambini, Gennaro e Mirea.
Come è nata la sua carriera? Per caso o per scelta?
Per caso. Un mio amico aveva iniziato a frequentare dei corsi di recitazione e mi aveva chiesto di accompagnarlo al provino per un film di Aurelio Grimaldi. Arrivato lì, quelli della produzione mi avevano proposto di partecipare: quindici giorni dopo ho fatto il provino ed ho ottenuto la parte.
La sua è stata una lunga gavetta. Si sente più bravo o più fortunato?
Nella vita serve sicuramente la fortuna, ma io certamente non ho conosciuto scorciatoie. Ci ho messo 40 anni a raggiungere questi risultati.
I suoi genitori l’hanno appoggiata?
Mi hanno sempre lasciato la libertà di scegliere. Sapevo che in caso di difficoltà li avrei sempre trovati al mio fianco, ma non mi hanno mai limitato o condizionato nelle scelte. Mi hanno lasciato anche la libertà di sbagliare.
Lei è degli anni ’80, considerati i più belli in assoluto. Cosa pensa sia cambiato da allora?
Sono stati anni bellissimi. Certamente l’aspetto che più è cambiato nei giovani è la capacità di sognare. Oggi c’è una società volta al consumismo e poco alla progettualità del futuro. Tutto si deve ottenere e consumare subito, dagli oggetti alle relazioni. Questo mi dispiace un po’ per i miei figli. Si sogna poco.
I suoi genitori cosa le hanno trasmesso come valore portante?
Sicuramente l’onestà, la lealtà, la verità. Meglio sempre una verità scomoda, piuttosto che l’ipocrisia.
Lei com’è nei rapporti?
Molto vero. Come mi vede, così sono. Ci sono amicizie che magari si sono incrinate per qualche scontro, ma poi ci siamo ritrovarti dopo anni e tutto si è risolto in un abbraccio, perché alla base c’era verità.
Nel suo ambiente lavorativo riesce ad essere sempre vero e a mantenere gli equilibri
Baso i rapporti su rispetto e sincerità. Devo dire che sono stato fortunato ed ho incontrato sempre brave persone, nel privato come nel lavoro. Ci siamo scelti. Se dall’altro lato non trovo corrispondenza, mi chiudo, perché fondamentalmente sono un introverso. Quindi se non nasce uno scambio, non si creano i presupposti per dei dissidi.
Qual è il segreto?
Penso il segreto sia nel saper scegliere. Se a monte scegli persone che ti somigliano nell’educazione e nei valori, è difficile poi trovarsi in situazioni spiacevoli.
Come l’ha cambiata la paternità?
La paternità mi ha cambiato in meglio. Ti fa provare la forma più intensa e vera di amore. Ti cambia le priorità e le prospettive.
La più grande conquista dell’età adulta.
L’essere un uomo più sereno ed appagato. Meno inquieto.
A breve la vedremo nella fiction per Raiuno “Noi del Rione Sanità”, in onda dal 25 settembre per tre giovedì consecutivi. Che esperienza è stata?
Interpretare Don Antonio Loffredo è stata una bellissima esperienza perché ha toccato corde molto umane della mia persona. Lui riesce a portare luce in un quartiere dove c’era solo buio. Partendo da un fallimento di una cooperativa nel carcere di Poggioreale, questo parroco viene mandato per punizione dalla Curia nel Rione Sanità, dove gli sono affidate delle chiese abbandonate. Si scontra con la chiusura della comunità e fa di tutto per farsi accettare e vincere la diffidenza.
Lei conosceva già quel quartiere?
È un quartiere che conosco molto bene perché facevo recitazione lì quando ero piccolo ed un mio carissimo amico aveva la direzione del teatro. L’ho ritrovato magicamente come guida turistica delle Catacombe durante le riprese ed ha anche fatto una piccola parte nella fiction. Ritrovarlo è stato il momento più emozionante di tutto il lavoro.
Che novità ci saranno invece per questa sesta stagione di “Mare Fuori”?
In questa stagione viene fuori di Massimo l’aspetto più sentimentale, molto tormentato, nel rapporto con Maria, la madre di Rosa Ricci. Sono due individui “rotti” che si riconoscono e cercano di ricostruirsi insieme.
Ha mai pensato, come altri, di abbandonare il progetto?
Non ho mai pensato di abbandonare perché sono molto grato e riconoscente nei confronti della produzione. Provo molto affetto verso tutti coloro che mi hanno dato questa grande opportunità.
La popolarità dovuta alla serie come ha cambiato la sua vita?
È più una percezione degli altri, per me è cambiato poco, sono sempre lo stesso. La differenza è solo nelle opportunità lavorative che sono cresciute. Ho sempre voluto imparare un mestiere, concentrandomi su quello e non sulla popolarità che comporta.
Le ha mai sfiorato l’idea di finire dietro la telecamera?
Hanno provato a propormelo, ma fino ad ora non ci ho mai pensato. Credo sinceramente che ognuno debba fare il proprio mestiere.
Tv o teatro?
In tv è attraverso il regista che si crea la connessione col pubblico, in teatro invece la connessione è diretta tra attore e spettatore. Ed è questo il vero habitat di un artista.
I’M?
Una persona perbene.
di Ilaria Carloni
foto di Pepe Russo
n° 104 Settembre 2025