Francesco Cicchella è un artista poliedrico, il classico ragazzo d’oro, umile, semplice, e pieno di valori. Quando veste i panni dei più grandi, padroneggia l’arte dell’ironia e rende ogni sketch esilarante esaltando la maschera che indossa. Francesco ha scoperto questo talento naturale sin da bambino. È stato uno studente modello ed un bambino prodigio con “l’orecchio assoluto”. A 13 anni ha subito un lutto enorme del papà Gennaro scomparso prematuramente: una perdita che lo ha fatto crescere in fretta e senza “disturbare”, perché ha voluto rendersi indipendente a soli quindici anni per non aggiungersi al grande dolore che stava vivendo la madre. Ha imparato presto ad affrontare i palchi più prestigiosi attraversando tutti i generi musicali e vincendo diversi premi. Se il palco riesce a fargli esprimere il suo talento primordiale, la tv gli ha garantito il successo col grande pubblico. A 17 anni ha vissuto la svolta quando il suo professore di latino e greco del liceo, Antonio D’Addio, lo iscrisse al Premio Totò e vinse.
Sei in tour estivo con lo spettacolo campione di incassi “Tante cose belle”. Ce ne parli?
Si, ho già fatto circa 75 repliche tutto sold out. Lo spettacolo nasce dall’idea di proiettarmi nel futuro, ho immaginato me tra 25 anni, quindi un Francesco sessantunenne che si è ritirato dalle scene. È un messaggio provocatorio rispetto a quello che dei nostri tempi non mi piace, e lo mando attraverso la satira e l’ironia. È uno spettacolo che nasce, quindi, da un disagio, dalla parte di me che è in conflitto con la società odierna. C’è una riflessione amara su quanto possa valere la pena perseguire oggi un sogno fino in fondo. La mia visione però non è solo pessimistica, ma lascia un messaggio di speranza. Partendo dal futuro, poi torno al presente, alla serata e c’è un one man show fatto di musica, monologhi, divertimento, quindi il cuore dello spettacolo non tradisce le aspettative del pubblico.
Lo spettacolo segna anche una sperimentazione di nuove cose…
Si, ho sperimentato delle novità perché per la prima volta non sono accompagnato solo da Vincenzo De Honestis, ma anche da Yaser Mohamed, quindi anche nella parte di one man show c’è una connotazione più teatrale. È uno spettacolo con delle belle novità, senza tradire però la mia identità. Rappresenta una mia maturazione verso qualcosa di più completo.
Sin da bambino avevi il sogno di essere su un palco ed avere un tuo pubblico…
In uno dei monologhi dico specificamente che ho sempre sognato questo: girare i teatri e avere un pubblico disposto a venire a vedermi.
Quale altro sogno devi realizzare professionalmente?
Mi piacerebbe avere uno spazio mio in tv. In parte mi è successo su Prime Video con un mio speciale, ma sogno di avere un programma tutto mio, il famoso show del sabato sera. Sto lavorando in questa direzione.
Ti piacerebbe, invece, poter toccare le tue corde drammatiche?
Credo che i comici siano tra gli artisti che hanno una maggiore sensibilità perché l’ironia parte sempre da un disagio. Non è un caso che molti comici siano stati anche i migliori attori drammatici. Sono poliedrico, quindi mi piacerebbe cimentarmi in qualsiasi cosa, vorrei poter avere un giorno il mio “Io speriamo che me la cavo”.
Che infanzia è stata la tua?
La mia infanzia è stata molto particolare, sono stato il quinto figlio, cresciuto a grande distanza di età con i miei fratelli. Sono cresciuto tra gli adulti, quindi sono stato molto stimolato. Ero un bambino quasi prodigio, a tre anni scrivevo, leggevo e suonavo il pianoforte. Poi ho fatto il liceo classico, ed ero molto studioso, infatti mia madre credeva che avrei seguito un percorso professionale prestigioso, non certo in ambito artistico.
Tu infatti sei un artista molto colto…
La cultura, comunque mi è servita anche nel lavoro da artista, perché la mia creatività, che ha fatto si che emergessi anche dalla trasmissione “Made in Sud”, è certamente dovuta alla mia formazione culturale classica.
Sei stato l’unico in famiglia con velleità artistiche?
Tutti i miei fratelli e i miei genitori sono stati sempre appassionati di musica e arte. Tra le videocassette dei cartoni c’erano tutte le commedie di Eduardo. In casa si respirava arte.
Che clima c’era nella tua numerosa famiglia?
Il clima a casa era sereno e di grande goliardia. Tutti i miei fratelli e mia madre avevano grande senso dell’umorismo. Il più serio e ligio era proprio mio padre, che era molto quadrato e riservato. Io ho ereditato da lui la parte più secchiona e nerd, da mia madre la faccia tosta. Eravamo una famiglia bella, numerosa, eravamo sempre l’anima della festa con tavolate infinite.
A te piacerebbe riproporre quella famiglia lì?
È il mio più grande cruccio. Da un lato vorrei riproporre il modello tradizionale della mia famiglia, dall’altro non voglio fare scelte forzate senza che ci siano le basi. Quando avrò dei figli voglio partecipare attivamente alla loro crescita ed educazione, ma ho la consapevolezza che con questo mio lavoro oggi non potrei farlo.
Come hai affrontato a soli 13 anni il lutto di papà Gennaro?
Di base sin da piccolo sono stato sempre molto maturo, quindi ho sempre avuto un atteggiamento diverso dagli altri bambini. La perdita di papà mi ha fatto crescere di una ventina di anni in un giorno. I miei fratelli erano già “sistemati” perché erano grandi ed io sono rimasto solo con mia madre e mia nonna. Quella che ha sofferto di più è stata mia madre che condivideva tutto con lui e ne dipendeva molto, quindi io ho pensato subito di non pesarle. Dovevo cercare di fare tutto per non caricarla né emotivamente, né economicamente. Quindi di li a poco, a quindici anni, ho iniziato a lavorare con il pianobar. Ho cercato di non darle preoccupazioni di nessun genere.
Ed i tuoi fratelli maggiori ti hanno fatto da padri?
Senza nessuna forma di rancore verso i miei fratelli, posso dire che in quegli anni sono rimasto un po’ solo col mio dolore, perché per loro è stato naturale rifugiarsi nelle proprie famiglie. Questo grande lutto lo abbiamo vissuto tutti un po’ individualmente. Poi, negli anni successivi, ci siamo ritrovati molto, anche grazie al mio lavoro. Quando si sono accorti che io stavo facendo sul serio, si è risvegliato in loro un senso paterno verso di me, come se si fossero domandati “ma quando è successo tutto questo?”.
Imitazioni e parodia. Ci spieghi il sottile filo che le distingue?
C’è una distinzione tra imitazione e parodia. L’imitazione è l’emulazione di un personaggio, dal linguaggio alla mimica. La parodia è un ritratto che io creo del personaggio originale e che spesso si discosta da questo. La parodia diventa anche uno strumento per dire ciò che penso io.
Hai un personaggio a cui sei particolarmente legato?
Sono tutti figli miei, anche se sono legato al personaggio di Bublè che ha segnato i miei esordi, è legato al Francesco piccolo dei primi tempi.
Ti senti più bravo o fortunato?
Entrambi. La gavetta è stata dura perché sono partito facendo serate di cabaret in cui guadagnavo 50 euro a sera nelle pizzerie, allo stesso tempo però sono stato fortunato perché ho avuto delle vetrine importanti molto presto. Come quella di “Made in Sud” in cui avevo solo diciannove anni. Ne avevo ventirè quando la trasmissione è diventata un fenomeno. Ho vissuto, quindi, tutto molto presto, anche le esperienze negative, e quando sei giovane i passi falsi non fanno grossi danni. A trent’anni avevo già l’esperienza professionale per fronteggiare tutto con grande maturità.
Un tuo pregio?
L’intelligenza consiste nella capacità di adattarsi, come diceva Einstein. E questo è il mio motto. Sono una persona molto duttile, sia sul lavoro che nelle relazioni.
Difetti?
Ho un modo tutto strano di grattarmi il naso perché sono allergico. Altro difetto, sono un procastinatore, cioè rimando le cose che non mi va di fare.
Rimpianti?
Non vivo di rimpianti, ma se potessi, come nel film “Sliding Doors”, vorrei vedere cosa sarebbe successo se avessi accettato di presentare “Made in Sud”, offerta che mi fu fatta dopo l’abbandono di Gigi e Ross. Non mi sentivo pronto per quella responsabilità e poi volevo creare un percorso tutto mio al di fuori dalla trasmissione, quindi istintivamente dissi no. Poi, quando ho visto l’ascesa di Stefano De Martino che è partito proprio dalla conduzione di “Made in Sud”, mi è venuta la curiosità di sapere cosa sarebbe stato di me. Ma è pura curiosità e non un rimpianto.
di Ilaria Carloni
foto di Anna Camerlingo
n° 103 Luglio 2025